Christmas is coming!
Natale è alle porte, con il suo scintillio di luci, gli addobbi festanti e quell’atmosfera carica di magia, che ha due grandi sorelle: speranza e solidarietà. Proverbialmente, a Natale, si è tutti più buoni e a furia di ripeterselo poi le persone sono stimolate a esserlo sul serio.
Ma Natale significa anche “tradizioni”, che fa rima con decorazioni, per cui ogni dicembre si ripropone l’annosa questione: “team presepe” o “team albero”?
Molti sciolgono il dubbio amletico scegliendo entrambi, proprio allo scopo di evitare il derby natalizio e mantenere saldi i delicati equilibri familiari.
E poi c’è l’aspetto della tradizione legato al cibo, perché se non si mangiano determinati piatti, durante i banchetti luculliani del periodo, non sembra Natale!
Nel repertorio culinario napoletano l’elenco delle prelibatezze festive richiederebbe il numero di pagine della Costituzione italiana. Una cosa però è certa: la Vigilia di Natale senza “o’ pezzullo e baccalà”, fritto, è un po’ più vigilia ma meno di Natale; è impensabile una tavola imbandita a festa senza l’ospite europeo che la fa da padrone.
Dai mari del Nord Europa si diffuse a Napoli a partire dal 1500, soprattutto come pietanza per poveri in quanto, non richiedendo particolari condizioni climatiche, poteva essere prodotto ovunque, in ogni momento dell’anno. Per questa ragione divenne il cibo dei poveri, di quelli che non potevano sostituire la carne con il pesce fresco.
Inoltre la Controriforma aveva proibito il consumo di carne nelle feste comandate, causando l’aumento della domanda di pesce che i prodotti ittici locali, da soli, non riuscivano a soddisfare. Perciò il baccalà, grazie alle sue qualità sazianti, economiche e di facile conservazione, cominciò ad essere importato in grosse quantità.
La predilezione dei napoletani per il baccalà è testimoniata dal fatto che le più grandi aziende italiane di importazione e di conservazione si trovano in Campania; precisamente il principale polo di lavorazione del baccalà è Somma Vesuviana, in provincia di Napoli, alle pendici del Vesuvio.
Insomma per i partenopei il baccalà è una cosa molto seria: ciò è dimostrato dal fatto che ne hanno creato una vera e propria scuola, l’Accademia Partenopea del Baccalà, ovvero l’Accademia dei baccalajuoli, che ha la finalità di tutelare le conoscenze acquisite nel corso dei tanti anni di lavorazione, salvaguardandone le preparazioni tradizionali e incentivandone il miglioramento e la diffusione in Italia e all’estero.
Non va confuso con lo stoccafisso, con il quale c’è una grande differenza: l’elemento di base è sempre il merluzzo, ma mentre il baccalà è conservato sotto sale, lo stoccafisso è essiccato.
Prima di mangiarlo deve essere dissalato, quindi va tenuto tre giorni in ammollo in acqua, che va cambiata e sostituita con quella pulita, mattina e sera.
Insomma con il baccalà non basta essere dei cuochi provetti ma ci vogliono devozione, passione e dedizione, che non andranno sprecate ma saranno restituite in forma di appetitosi rettangolini dorati, capaci di rinsaldare l’atmosfera familiare.
In conclusione, o’ Pezzullo e’ baccalá, sulla tavola imbandita a festa è il vero protagonista del Natale campano. Anche piú di Santa Claus!
2021-11-25
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