L’ancora misterioso delitto dei due giovani, Tullio Pagliaro e Giuseppe Fusella, consumatosi a Ercolano, ci ha lasciati impietriti, spaventati ed increduli, suscitando rabbia e sconcerto. Vite spezzate da una mano omicida che ha materializzato l’odio accumulato, sembra, dopo aver subito il furto di un’auto (sua confessione). Due esistenze appena sbocciate che scrivevano sorrisi e passioni negli occhi di chi li incontrava (testimonianze degli amici). Sognavano… ed ora resta il silenzio, squarciato dal grido di dolore dei genitori che non avranno più pace, ne sapranno dove trovarla. Una tragedia evitabile che continua a sconvolgere le nostre anime ed ha riportato nuovamente all’attenzione la questione della sicurezza e degli eccessi della legittima difesa. Va, però, subito chiarito che, dai primi accertamenti, questo appare un reale rituale di omicidio volontario. Tanta era la rabbia accumulata, tanta è la rabbia che ha suscitato. La realtà ci ha fatto ripiombare nelle nostre paure, consapevoli di una fragilità che si traduce in aggressione. Forse abbiamo bisogno, tutti, di imparare a costruire relazioni sane e serene, poiché si sta sgretolando (eufemismo) una società che va capita meglio. Questa è una vicenda che denota la perdita profonda ed abissale di umanità. Il periodo che attraversiamo certamente non ci aiuta ad attenuare le tensioni nei rapporti interpersonali. Ciò detto, abbiamo bisogno di un “fermo immagine”, evitando di pensare che quello che è accaduto ed accade attorno a noi non riguarda ciascuno di noi. La violenza non è una forza, ma una debolezza, nè può essere creatrice di eventi positivi, ma solo distruttrice. Ed allora? Innanzitutto non derubrichiamo questo omicidio come un’assurdità. Impariamo a costruire, attraverso un processo educativo personale, una società più solidale, meno sospettosa, perché paghiamo un prezzo troppo alto, ogni qualvolta l’altro diventa un nemico da abbattere, colpendolo con armi, seppur detenute legalmente. E poi… anche chi ha ucciso o uccide può iniziare ad amare e perdonarsi e lasciarsi perdonare dagli altri con azioni sociali di bene, di giustizia riparativa, perché punire non vuol dire vendicarsi. C’è qualcosa (molto) che non va nella società che stiamo costruendo. Abbiamo bisogno di fare silenzio! La voce del silenzio é voce del dolore e come tale ha una sua insopprimibile dignità e chiede strada con il peso della sua enormità. Un silenzio che ci aiuti a scovare il buco nero che vive nel nostro io e lo rischiari con la luce che Tullio e Giuseppe dovranno donarci per non cedere alla disperazione e al “dente per dente”. Amici, la nostra Napoli é famosa nel mondo perché ha saputo alzare il suo canto oltre le sponde pungenti del dolore e la notte più cupa non ha impedito agli uomini e alle donne di questa città di opporsi alla rassegnazione, sfidando il male sul campo verdeggiante della libertà. Chi vive con il cuore distante dall’altro, si allontana sempre di più, smette di ascoltare o non lo fa affatto, perché, purtroppo, ha cessato di amare. Ecco, occorre accogliere il silenzio e il grido di chi é nel dolore per far germinare in tutti la speranza, la fiducia e il futuro in una società dove Misericordia e Verità si incontreranno e Giustizia e Pace si baceranno. Lo dobbiamo a questi giovani che hanno visto interrotta la loro esistenza e distrutti i loro progetti, ai loro genitori che non cesseranno di versare lacrime per il resto dei loro giorni. Lo dobbiamo all’umanità che diserta la nostra arida società.
2021-11-02
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